Esiste una condizione psicologica di confronto consapevole con il vuoto che assedia l'uomo e sottrae credibilità al suo sentire, che in poesia si esprime come tentativo di restituire alle funzioni verbali la razionalità altrimenti, nella vita, insidiata e smarrita («La solitudine si apprende e si conquista, / anche se giunge a noi / come rivelazione inaspettata / di una sera che gioca con la pioggia»). Senza, con questo, inibire alla parola le virtù liriche, evocative, fantastiche, anzi concentrandole e come allineandole alla retta obliqua che attraversa da una parte all'altra la propria personale esperienza di vita («Adesso / sento ancora il mio corpo pieno di banderuole / e lo vedo disteso / sopra generazioni di finestre antiche / mentre la notte avanza solitaria e perfetta»). È il caso appunto di Luis García Montero. Ma, rispetto al procedimento più "visionario" che caratterizza altre sue prove, qui l'autore è andato ricomponendo ancor di più la consistenza materiale delle cose e degli oggetti, delle situazioni e delle persone, proprio contro quello spettro del vuoto con cui si misura il suo bilancio dei cinquant'anni («Le parole, come un tramonto / che si confonde con la notte, / sono sabbia che cade davanti al vuoto») e attraverso il progressivo uso oggettivante e oggettivato dei "quadri" che compongono la Cinquantina («le 50 poesie che mi lasciano più tranquillo», per sua dichiarazione).
Muovendo da una profonda esigenza interiore di verificare con se stesso e di comunicare agli altri la propria visione del mondo e della vita, García Montero costruisce i suoi rigorosi quadri, mirando a isolare i tagli, le fessure, gli scollamenti, in cui si esprime e si dichiara il disagio personale del non-riconoscimento, del vuoto. Ma tale disagio, sia pure dentro i dubbi ed il malessere dell'esistente (ex-sistere è, appunto, balzare fuori di sé), diviene condizione da cui prendere le distanze, insieme accettandone la contraddizione («Un realista che vive il mondo dei sogni, / un sognatore che vuole vivere la realtà»). E la liberazione, rituale e salvifica, compone la mappa appunto dei "quadri" del proprio percorso poetico, la serie di contrassegni che guidano la marcia verso la riappropriazione nel concreto e nel dettaglio dell'esistenza in tutti i suoi aspetti e in particolare sul fronte dell'amore, in una situazione che prevede addirittura l'identificazione della poesia stessa con la donna amata («La poesia sei tu, / un taglio netto, / una riga sull'acqua / – se l'acqua è la ragione dell'esistere –, / la donna che si lascia sedurre / per tagliare la testa a un re» e, del resto, «Ci sono anche momenti in cui lasciamo / le parole d'amore e i silenzi / per parlar di poesia»). [...]
Dalla premessa di Paolo Ruffilli