
Alcune poesie, sparse qua e là nella raccolta, avrei potuto inserirle in un ideale capitolo di "obblighi e divieti", pervase come sono di regole banali e quotidiane volutamente mal interpretate o violate apposta: Per uscire girare la chiave; Vietato attraversare i binari… Altre scimmiottano il gergo dell'economia (Ho in banca un credito di gioia), o dell'urbanistica (I lavori dureranno e coinvolgeranno le strade dei dintorni), o addirittura della telefonia (Restate in linea per non perdere la priorità acquisita). Altre ancora sono una richiesta educata che maschera un'implorazione: Si prega di chiudere la porta, / uscendo, / di lasciarsi indietro il passato… Alcune, brevissime, provano a essere un concentrato di immagini, suoni e profumi ad alto peso specifico, un tentativo di "far entrare il mare in un bicchiere", come diceva Calvino. Certe altre si potrebbero definire poesie d'interni, lì dove provo a far parlare le cose concrete, fedele alla scuola di Caproni, che diffidava di quelle poesie nelle quali non compare mai un bicchiere o una bottiglia. Altre poesie osano la rima in mezzo, dissimulata e a volte invece sfacciatamente ostentata. Alcune hanno sotto il basso continuo, il passo buffo, ludico e ironico della filastrocca, altre sono secche e assertive come un aforisma. In ciascuna ho cercato una percussione regolare e a volte claudicante, un verso tragico e improvvisamente mutilato, un turbinio di frasi brevi, sempre indugiando – come diceva Valery – tra suono e senso.