Il genere comico nell'opera lirica ha origini antiche che si intrecciano indissolubilmente con il teatro tragico la cui culla è stata, ovviamente, la Grecia classica.
«La tragedia è nata da coloro che intonavano il ditirambo» spiega Aristotele, ovvero, da un canto corale dedicato al culto del dio Dioniso (Bacco, a Roma), che ormai dagli studiosi viene considerato di importanza rilevante in quanto "forma-lancio", forma preparatoria, tanto per la tragedia, quanto per la commedia.
Si trattava di una composizione poetica corale, dove la poesia, la musica e la danza erano fuse insieme, e tutte e tre erano considerate indispensabili in ugual misura. Il ditirambo era, dunque, una danza collettiva eseguita in circolo da cinquanta danzatori incoronati da ghirlande. Era una danza drammatica e rapida, nella quale il solista rappresentava lo stesso Dioniso, mentre i coreuti lo accompagnavano con lamentazioni e canti di giubilo.
Il ditirambo accompagnava anche i cortei (pompè) di cittadini mascherati che, in stato d'ebbrezza, inneggiavano a Dioniso suonando flauti e tamburi; infatti era costituito da cori accompagnati dal suono di questi strumenti; un suono cupo, poco melodico, ma di profonda potenza, furente, che accompagnava alla perfezione il corteo barcollante di uomini mascherati: alcune feste a Dioniso infatti presupponevano il totale mascheramento, con pelli di animali e grandi falli; le Menadi seguaci dirette del dio, portavano il Tirso, un bastone con in cima o un ricciolo di vite o una pesante pigna.Questa dunque fu la forma primordiale di fusione musica-canto-danza dell'antica Grecia, che costituì il substrato tanto della tragedia quanto del dramma satiresco.
Durante l'età classica della storia greca (V secolo), la frequentazione dei teatri era considerata attività edificante e formativa per i cittadini.
Pericle stesso impose agli ateniesi di partecipare agli agoni teatrali, rimborsando, addirittura, la giornata di lavoro "persa" per andare a teatro.
Tragedie e drammi satireschi avevano due precise e distinte funzioni nei confronti dell'animo umano: la tragedia doveva avere, sempre a detta di Aristotele, una finalità "catartica", ovvero, rappresentando le umane passioni e le umane debolezze, doveva far sì che l'uomo comune potesse rispecchiarsi nelle vite e nelle scelte dei personaggi e liberarsi (da qui la funzione catartica) da quelle stesse passioni e debolezze che lo inducevano in errore; il dramma satiresco, invece, serviva fondamentalmente per risollevare gli animi degli spettatori, incupiti dagli esiti delle tragedie che culminavano sempre con lakatastrophè, cioè, traslitterando semplicemente, la catastrofe.
Tanto nei drammi satireschi, quanto nelle commedie e nelle tragedie, la figura femminile assume, a differenza poi della storia, quella vera, un ruolo di primo piano.
Nel corso di questa dissertazione, si attraverserà la produzione letteraria greca, di stampo tragico e comico, per ritrovare quel "filo rosso" che passando attraverso la Commedia dell'Arte, approdò al teatro per musica, da Pergolesi con La serva padrona del 1752, fino ad arrivare al tramonto del genere stesso con Donizetti, in epoca ormai romantica.
Si cercherà dunque di focalizzare l'attenzione sulla figura della donna, sul ruolo da essa assunto e, soprattutto, su come poeti, tragediografi e musicisti l'hanno saputa ritrarre, anche a secoli di distanza.
Tania Buccini