«C'è un uomo sulla riva | di un lago azzurro, al sole. | L'inizio è cosí semplice | come lo sto scrivendo. || È un paese nel Sud, e prima | che inizi la stagione. | La sua mano trattiene | il cappello, per il vento». A prima vista, uno sguardo ameno, se non fosse, invece, per quelle folate di vento; e se non fosse, invece, per quella mano stipante i ricordi, calcando il cappello. Appena scorsi, questi sono i versi che principiano Il lago artificiale. Come ombre confitte in un quotidiano indimenticato, nel poemetto di Willem van Toorn si prefigurano, dipoi nello svanire, impronte familiari nonché amiche, essenze sortite in varî modi e in composti paesaggi che assumono, a tratti, sembianze paniche. Sono sorti individuali e, insieme, diffuse, nei riguardi delle quali il poeta olandese conserva sul foglio orme e baluginíi di storie minime, fra visioni persistenti e accenni di delirî a mano a mano sparenti. Per ogni incontro, dal piú urgente che torna dal fondo, la cifra è l'interrogazione Che fare. Sino a che, come un talismano, non emerga l'ancestrale meraviglia a prender di nuovo fiducia e abbrivio «Quando anche la mia mente sia sparita, | allora certo l'acqua rientrerà | nella terra e la casa lentamente | riemergerà. | Stanze grigie di fango, | disabitate ma pronte per accogliere | vita che vuole entrare | come in un nuovo Paradiso in terra».
Enrico D'Angelo