Sostenuti dalla rima, i versi di Bianca Tarozzi fluiscono rapidi e veloci come i rivi o l'acqua degli antichi "navili" che un tempo scorrevano a Bologna. Ma godere in fondovalle dell'acqua fina e trasparente, popolata di girini, significava per lei vivere la gioia del presente assoluto. All'apertura della raccolta si evoca l'infanzia, l'età che tutto fonde nei colori della fantasia, in cui si è tutt'uno con Dio e ci si sente al centro del cosmo:
Il cielo, prima,
si muoveva con me
girando attorno
al sole con la luna e con le stelle.
Nell'infanzia ogni cosa è possibile: una aerea schiera di moscerini – pensava un'altra poetessa, Rose Ausländer – può addirittura mettere in moto l'intera volta celeste. Ma nelle poesie di Bianca Tarozzi assistiamo anche alle piccole storie del quotidiano – l'incontro con Mara o l'inverno 1946 – che l'autrice struttura come un racconto in versi. Si inserisce, cosí, in una lunga tradizione che annovera, nella letteratura italiana, autori come Gozzano o Pascoli, anche se la dimestichezza con la letteratura angloamericana la accomuna ai postmodernisti da lei tradotti, come, ad esempio, Elizabeth Bishop. Si ripropone la poetica dell'oggetto recuperato dalla memoria, sia esso rappresentato dagli orecchini luccicanti della siciliana, dai lini del corredo, dallo straccetto ricamato, dalla stufa rossa... [...]
Dalla premessa di Gio Batta Bucciol